18 Ottobre 2022
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Veronica Pitea, presidente ACEPER: non abbiamo bisogno di quote rosa, la parità è una questione culturale e va insegnata ai nostri figli. Il ruolo della donna in un mondo che cambia
Veronica Pitea, presidente ACEPER, ci parla della condizione femminile, delle sue esperienze personali ma anche del premio che ha ricevuto a Dubai da cui è appena rientrata. Cominciamo dal premio: 28 Credential of Enterpreneur. La piattaforma di networ king internazionale l’ha recentemente premiata per le sue attività professionali e capacità imprenditoriali.
“Una premiazione in concomitanza della presentazione del primo volume del 28COE Quotes book che raccoglie, sotto forma di citazioni, le linee guida, le cose e le esperienze che, nella vita professionale e non, hanno aiutato i 200 imprenditori e imprenditrici che hanno collaborato al libro a crescere nei momenti migliori e affrontare e superare le difficoltà nei momenti difficili. Ci sono anche le mie, 28 credential che sono frutto proprio della mia esperienza come imprenditrice e come donna. Hanno anche premiato, ed io sono fiera di essere stata tra esse, le persone che secondo il loro giudizio possono fare la differenza o l’hanno fatta nel mondo imprenditoriale. Donne e uomini che sono partiti da zero o hanno fatto imprenditoria di successo in paesi che non erano i loro e sono stati pionieri nel business che hanno iniziato. In fondo come noi di ACEPER”.
È stata anche l’occasione per confrontarsi con una realtà internazionale diversa dal consueto. “Un’esperienza interessante e formativa perché il networking potrebbe effettivamente cambiare il mondo. Mi ha permesso di capire che, nonostante si sia diversi sotto molti aspetti, siamo comunque simili e, soprattutto, possiamo aiutarci a vicenda confrontandoci. Ogni Paese, ogni cultura, ogni persona porta un proprio modo di vedere e affrontare le cose; ci sono sempre prospettive e approcci alternativi per affrontare i problemi e cogliere opportunità. Aprirsi al mondo aiuta in ogni caso”.
A proposito di parità di genere: purtroppo il Medio Oriente non è un esempio dei più brillanti. “Infatti, nonostante fosse un evento internazionale in una città, Dubai, oggettivamente diventata anch’essa internazionale e per molti versi ultramoderna e all’avanguardia, ho sentito il peso, un abisso rispetto all’Europa. In quelle parti del mondo si ha sempre la sensazione di essere osservate e, al tempo stesso, poco considerate. Lo si nota anche nelle piccole cose. Ad esempio in una conversazione si tende sempre a rivolgersi all’uomo e non alla donna, nei ristoranti spesso viene servito prima l’uomo, nei taxi la porta si apre all’uomo e non alla donna. Sembrano banalità o casualità, però mi hanno fatto riflettere perché segnano ancora profondamente la differenza rispetto al mondo occidentale”. La strada per la conquista di un diritto, quello della pari, sembra ancora lunga.
“Da qualche parte bisogna pur cominciare ed eventi come questo ed altri possono aiutare. A me è servito per capire come ci siano Paesi davvero molto più svantaggiati e di quanto avanti siamo in questo percorso noi europee”. Un percorso che però resta difficile e tutt’altro che concluso anche in Europa. “Se ripercorro il mio curriculum professionale mi rendo conto che è proprio un percorso ancora lungo. Sono arrivata in Italia circa dieci anni fa, dopo aver diretto un call center in Romania e dopo diverse altre esperienze nel mio Paese e all’estero, chiamata da una società italiana che mi aveva promesso un’assunzione. Una volta arrivata, praticamente senza contratto, mi hanno spedita in Tunisia, ancora senza un vero e proprio un contratto di lavoro, e lì ho gestito per un pò un altro call center. Poi mi hanno richiamata in Italia, sempre senza un contratto e sempre retribuita in ritardo.
Dopo queste esperienze non positive ma sicuramente formative ho deciso di aprire una partita IVA per fare consulenza, pronta ad affrontare tutte le difficoltà del caso. Avevo tutte le carte in regola per non farcela: ero donna, giovane e straniera. Le difficoltà sono state tante: gli uomini faticano ad accettarti e, forse, le donne faticano ad accettarti ancora di più degli uomini perché, a volte, il problema delle donne sono le altre donne”. Nonostante questo ha raggiunto posizioni di vertice: oggi è presidente di ACEPER e dirige anche altre aziende.
“Certo, anche se essere donna nel mondo del business in Italia oggi vuol dire comunque fare il triplo della fatica di un uomo per raggiungere qualsiasi tipo di risultato. Ancora oggi mi ritrovo in situazioni in cui si intuisce che gli uomini fanno fatica ad ascoltarti, fanno fatica a credere che tu, donna giovane, possa essere in grado di fare impresa magari anche meglio di come la fanno loro. Ho capito però che lavorando duro, formandomi e informandomi nulla è impossibile. Alla fine ce l’ho fatta”.
Tenacia, supportata da grande impegno e preparazione: come si raggiunge credibilità e considerazione in ambito professionale?
“Di sicuro quello che ho imparato è che non ti devi mai fermare, ti devi formare continuamente, studiare, aggiornarti, devi essere informata sempre e comunque su tutto. Una delle cose che mi ha aiutata di più in assoluto e che continuo a fare sempre, è analizzare, prima di ogni incontro, prima della conclusione di ogni deal, chi ho dall’altra parte, che cosa fa, di cosa si occupa. Prepararsi sempre bene aiuta e in questo i corsi di formazione mi hanno straiutata perché ho imparato ad anticipare, a conoscere bene certi sguardi, certe resistenze, certe obiezioni. Sono separata da un paio d’anni e sono quindi anche una mamma single. Sì, ho anche questo, oggi non la vivo come una difficoltà ma per molte donne può esserlo.
Mio figlio, che vive prevalentemente con me, una sera guardando un film in cui c’era un uomo a capo di un’azienda mi ha guardato e in modo davvero spontaneo mi ha chiesto come fosse possibile che gli uomini facessero i capi. Tutto questo nonostante io non gli abbia mai detto espressamente cosa faccio in azienda e quale è il mio ruolo. Probabilmente però, vivendo con me in casa e vedendo il mio atteggiamento, ha percepito come normalità che la mamma fosse a capo di una struttura e che sia possibile essere a capo di un’azienda solo per le donne e non per gli uomini.
Questo mi ha fatto riflettere e comprendere che non è poi così difficile arrivare ad azzerare il divario tra uomo e donna. Per il futuro mi sono resa conto che, stando tutti attenti a come cresciamo i nostri figli, ai messaggi che passiamo, all’approccio culturale e sociale che abbiamo è molto probabile che tra dieci anni questa differenza non ci sia più. Non abbiamo bisogno di quote rosa, non abbiamo bisogno di accettazione. Abbiamo bisogno di essere attenti all’educazione che diamo ai nostri figli, ai messaggi che trasmettiamo loro, soprattutto noi donne e presto vivremo questa diversità come una non diversità”